LOVOLIO: STORIA, TRADIZIONE E CULTURA DELL’EXTRAVERGINE

“Lovolio”: una spremitura di storia, tradizione e cultura dell’extravergine. L’agronomo pugliese Cosimo Damiano Guarini racconta il suo libro

“Se dovessimo descrivere il Mediterraneo a un amico scandinavo, gli faremmo congiungere le mani in maniera concava per riempirle d’olio e di storia millenaria”.

Con questa immagine l’agronomo pugliese Cosimo Damiano Guarini condisce l’introduzione al suo libro “Lovolio”, che è, citando Pablo Neruda, “un ’ode all’olio”, cantata con il polso del prosatore e l’acume del tecnico appassionato.

La pubblicazione, organizzata in due volumi e aperta dalla brillante prefazione dell’oleologo Luigi Caricato, raccoglie nella prima parte saggi storici, tecnico-scientifici, medici, firmati da esperti del settore. Così il giornalista Sandro Vannucci ricuce le trame nodose degli ulivi, giganti millenari che si sono fatti custodi della storia del Meditteraneo. Il professor Massimo Marianetti, neurologo e psicoterapeuta, spiega come l’olio d’oliva possa essere una buona pratica contro l’invecchio cerebrale, mentre il professor Maurizio Sevili difende l’extravergine come un “prodotto a rifiuti zero”. È il professor Carlo Franchini, ordinario di chimica farmaceutica e tossicologica, a legare assieme, nel concetto di “nutraceutico”, le virtù dell’“oro verde”, estese ai campi di nutrizione e farmaceutica. Il dottor Luca Crocenzi, responsabile del mercato dell’olio d’oliva per la borsa merci telematica, firma un ampio focus sulla condizione del mercato dell’olio e delle politiche nazionali che vi ruotano intorno.

Ma “Lovolio” non è a suo agio solo nella biblioteca del tecnico. Il libro può comodamente stare sulla scrivania del lettore, felice di sapere, con il professor Franco Mandelli, presidente nazionale AIL, che il ricavato è devoluto all’associazione italiana contro le leucemie. Perché la pubblicazione di Guarini è un elogio dei valori di condivisione, essenzialità, cultura, fede nel proprio territorio, buone pratiche e, insieme, un racconto innamorato di esperienze di vita, antiche e recenti. In chiusura al primo volume, l’autore riserva un omaggio ai più piccoli, il “VocabOleario”. Una qualità dell’olio per ognuna delle lettere dell’alfabeto, spiegata per gli adulti e illustrata per i bambini.

Il secondo volume è un vademecum del turista che in Puglia vuole scoprire itinerari cicloturistici alla ricerca dei più antichi frantoi ipogei, ma vuole anche mangiar bene, seguendo i consigli di chef stellati come Pier Luca Ardito, team coach della Federazione Italiana Cuochi.

“Lovolio” è stato presentato a Roma in occasione della III edizione di “Simposio – Trionfo del gusto”. L’evento, organizzato da “De Ventura” sabato 20 e domenica 21 settembre, presso l’Holiday Inn di via Aurelia, è dedicato all’enogastronomia di qualità. Insieme a Cosimo Damiano Guarini, il dottor Luca Crocenzi, la giornalista Mariantonietta Pugliese e l’organizzatrice Manuela Mancino.

RACCOLTA E SPREMITURA DELLE OLIVE: NASCE COSì L’OLIO DI QUALITà

La nostra “rassegna” sull’olio d’oliva di qualità prosegue con un ulteriore approfondimento.
Dopo aver svelato i “trucchi” per riconoscerne la bontà e la differenza tra le sue diverse tipologie, è il momento di soffermarci su due importanti fasi che contraddistinguono la produzione del prodotto, la raccolta e la spremitura delle olive.

Ancora una volta, ci siamo avvalsi della collaborazione di uno dei massimi esperti del settore, l’autore di Lovolio Cosimo Damiano Guarini.
Guarini, quali sono i segreti di un olio di qualità?
Innanzitutto la gestione dell’uliveto. In genere, una pianta ben tenuta potrebbe dar vita a un olio di qualità. Sicuramente avremo delle olive che, a seconda della zona e della varietà della cultivar, avranno un determinato periodio di maturazione, in linea di massima da ottobre a fine dicembre.

Quando è possibile avviare la raccolta?
La raccolta inizia quando la buccia dell’oliva assume una colorazione a metà tra il verde e il violaceo. In corrispondenza della cosiddetta invaiatura, le olive vengono raccolte in cassette microforate, funzionali a favorire il passaggio di luce e aria. Entro 24 ore, da quell’oliva, dovremo ricavare la nostra gocciolina di olio, ottenuta portando le olive in frantoio.
Qui comincia la lavorazione, in particolare, prendono il via la defogliatura e la fase di lavaggio. Segue la frangitura, cioè la rottura dell’oliva. Subito dopo il mosto viene separato dai suoi componenti solidi: residui di buccia, di polpa, di nocciolo e di acqua. L’olio viene inoltre privato ulteriormente della piccola quantità microscopica di acqua ancora rimanente. È infine opportuno che il prodotto venga conservato in contenitori in acciaio inox sotto azoto per scongiurare il contatto con l’ossigeno, favorendone la “conservabilità”.

In che modo viene avviata la fase della spremitura?

L’olio extravergine di oliva è un prodotto di qualità che viene estratto per centrifugazione o per pressione. Nel primo caso, la “pasta di olive” ottenuta dalla frangitura viene sottoposta a centrifugazione per separare l’olio dalle componenti solide del frutto e dall’acqua. Per quanto riguarda la spremitura, invece, la pasta è sottoposta a pressione, come avveniva negli antichi frantoi di un tempo e avviene di rado ancora oggi.

Qual è la tecnica migliore?
È un tema sul quale sono state espresse numerose opinioni. Sicuramente, i sostenitori dell’estrazione per pressione sono, principalmente, legati a un “retaggio emotivo” che richiama la lavorazione tradizionale. C’è da dire che la moderna estrazione per centrifugazione permette di ridurre il contatto dell’olio della pasta di olive con l’ossigeno. Un aspetto centrale per la qualità del prodotto.

DAL TECNICO AL DIVULGATIVO IL PASSO SEMBRA BREVE, INVECE…

Non è un caso che la parola cultura derivi dalla parola “colĕre”, ovvero, “coltivare”. Come fare però per svestire i panni del tecnico e vestire quelli di divulgatore senza per questo cadere nella banalizzazione?
L’olivo e l’olio hanno alle spalle 6000 anni di storia, ma ancora oggi il consumatore non conosce gli aspetti organolettici positivi del prodotto e, troppo spesso, si affida a luoghi comuni o falsi scoop giornalistici per la scelta del simbolo principe della dieta mediterranea.
Già 2000 anni fa i Romani avevano classificato in modo inequivocabile le differenti tipologie di olio, il loro utilizzo e le caratteristiche intrinseche del prodotto. Nei loro scritti, i vari esperti dell’epoca raccontavano in modo semplice, chiaro e comprensibile le tecniche di coltivazione, raccolta e trasformazione.

Un lavoro di studio e divulgazione che garantiva conoscenza: e oggi? Chi informa? In che modo?

Troppo spesso ci si imbatte in titoli ad effetto, scandali sventolati al vento, senza poi raccontare la “verità” degli aspetti tecnici, gettando spesso un alone di sfiducia e disaffezione verso il mondo dell’olio.
Uno spazio di comunicazione lasciato libero agli avventori dalla penna facile e che, invece, dovrebbe essere occupato dai tecnici che conoscono la materia e sono in grado di comunicare così come hanno fatto in passato i loro predecessori.
Per questo, oggi risulta estremamente importante formare gli operatori del mondo olivicolo (e non solo) verso una comunicazione più efficace, in grado di divulgare conoscenza e scienza alla portata di tutti.
In alcuni casi, però, divulgare rischia di sfociare nel banalizzare alcuni concetti e per evitare questo occorre mettere in campo lo stesso metodo scientifico di analisi e studio della materia tecnica, nello studio e scelta delle parole, dei concetti fondamentali e, soprattutto, occorre prestare attenzione alla “sete” di conoscenza che oggi il consumatore esprime e che troppo spesso resta senza risposta.

Basti pensare a quanti ancora oggi pensano al “piccante” e “amaro” dell’olio come “difetti” del prodotto, salvo poi affermare che l’olio fa bene alla salute.
Ecco, in questa mescolanza di informazioni, spetta ai tecnici diffondere la conoscenza in modo chiaro, semplice, al fine di migliorare il proprio lavoro, valorizzare il prodotto e, soprattutto, creare un consumatore consapevole.
Un vuoto di informazioni che se non occupato dal “tecnico-divulgatore”, lascia spazio ad avventurieri dell’informazione che si nutrono di tweet, commenti sul web e luoghi comuni che danno vita all’informazione del “sentito dire” e del “mi hanno detto che…”.
Immaginando così una scienza alla portata di tutti, una divulgazione semplice che parta dai tecnici e arrivi “dal campo alla tavola”, occorre creare un grande lavoro che parta dai luoghi deputati a tale formazione, penso al ruolo degli istituti tecnici agrari, dove spesso le materie umanistiche sono guardate con sufficienza e la stima di frutti pendenti è più importante della corretta scrittura di un progetto.

Un percorso arduo, questo sì, ma necessario oggi più che mai, dove il consumatore chiede un contatto diretto con il produttore, chiede di conoscere tutte le fasi di produzione, gli aspetti più profondi del prodotto, per comprenderne appieno la sua storia e il suo valore.
Una diffusione della conoscenza che si rende sempre più urgente quando poi si affronta il binomio tra “alimentazione e salute”.
In questo ambito, il ruolo centrale è occupato dal mondo medico, che ci racconta tutte le proprietà nutrizionali, nutraceutiche e salutistiche di un dato prodotto agricolo, ma subito dopo toccherebbe però all’agronomo raccontare quali sono gli aspetti agronomici che permetto al prodotto di esprimere al meglio le sue doti salutistiche.

Spazio, quindi, alla divulgazione per tutti e non alla scienza per pochi, dove il mondo dei tecnici esce dalle proprie stanze per nutrire il consumatore di conoscenza.
E ai bambini, cosa raccontiamo? Siamo in grado di mettere alla loro portata l’agri-cultura per renderli consapevoli?
Qui il problema si complica un po’ ma, allo stesso tempo, offre una grande opportunità.
Perché, se da un lato bisogna lavorare molto sulla divulgazione verso i più piccoli, scegliere le giuste parole e gli strumenti più idonei alla comunicazione, dall’altra si può portare un grande risultato di informazione che si trasmette direttamente in famiglia, fino a cambiarne le abitudini.
Ricordo con piacere quando più di quindici anni fa scelsi di frequentare l’istituto tecnico agrario (“Basile-Caramia” di Locorotondo), dove per la cultura del “sentito dire” era la classica scuola di chi era destinato alla zappa, con poca voglia di studio e conoscenza.

Ecco, oggi, a distanza di anni è pensiero comune invece che il mondo agricolo ha un valore molto più alto, con un “ritorno alla campagna”. Certo, si tratterà di una moda temporanea ma, certamente, esprime una necessità di ritorno alle origini, di ricerca dell’essenzialità.
Concetti alti, per alcuni aspetti poetici, ma è proprio questo che oggi deve fare il tecnico-divulgatore: unire la scienza alla cultura.
Non è un caso, infatti, che la parola cultura derivi dalla parola “colĕre”, ovvero, “coltivare”.